Quello che stupisce, invece, è perché gli Italiani non approfittino delle grandi e piccole opportunità che sono loro concesse per evadere davvero. Per quale ragione durante quel fine settimana al mare o in montagna replichino gli stessi comportamenti e si rifugino negli stessi riti della quotidianità metropolitana. Barricati quasi tutti in un bar all’ora dell’aperitivo. Non ho nulla contro l’aperitivo, ma se l’obiettivo era evadere, si può fare di meglio. Mentre noi ci accalchiamo ancora una volta di fronte al bancone, sui sentieri si incontrano quasi solo tedeschi o americani. Un’occasione persa.
Il fatto è che cambiare abitudini, trasformare uno stile vita, è la cosa più difficile che esista, mentre le nevrosi sono le nostre più care amiche e compagne. Sicuramente le più familiari, conosciute e quindi rassicuranti. Per questo, ambientiamo l’evasione in terre remote, in narrazioni inverosimili, sempre ribadite, ma mai vissute. Un’ammissione di impotenza, in fondo: “vorrei ma non posso”; o forse, “potrei, ma non voglio”. Così interpretata, l’evasione diventa solo un trastullo verbale, con il quale trasformiamo una vita stranita, con un racconto straniante.
Senza immaginare improbabili viaggi in terre esotiche, fughe utopiche alla fine delle quali ci si ritrova esattamente lì dove si era partiti, evadere può essere oggi un atto di resistenza, vissuto nel presente. La rinuncia a partecipare al caos che ci rincorre e a unirsi alla sinfonia di clacson isterici. Evitare di aumentare l’inquinamento acustico, alzare i finestrini dell’auto, ascoltare la propria musica preferita e dimenticare la coda. È, questo, un lusso che non costa nulla, e che, tuttavia, gli Italiani non sembrano alle volte in grado di concedersi.